Reumatismo. 2011 Nov 9;63(3):129-47. doi: 10.4081/reumatismo.2011.129.
Adami S, Romagnoli E, Carnevale V, Scillitani A, Giusti A, Rossini M, Gatti D, Nuti R, Minisola S.
Unità di Reumatologia, Dipartimento di Medicina, Università di Verona. Silvano.adami at univr.it.
The Italian Society for Osteoporosis, Mineral Metabolism and Bone Diseases (SIOMMMS) has elaborated the following guidelines about the definition, prevention and treatment of inadequate vitamin D status.
The highlights are presented here.
PMID: 22257914
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Summary
- Daily vitamin D allowance ranges from 1,500 IU (healthy adults) to 2,300 IU (elderly with low calcium intake).
Since the average Italian diet includes around 300 IU/day, subjects with no effective sun exposure should be supplemented with 1,200-2,000 IU vitamin D per day. - The serum 25-hydroxy-vitamin D [25(OH)D] levels represents the most accurate way to assess vitamin D repletion, even though there are still no standardized assay methods.
- Conditions of "deficiency" and "insufficiency" are defined by the following ranges of 25(OH)D levels: less than 20 ng/ml and 20-30 ng/ml, respectively.
- In Italy, approximately 50% of young healthy subjects have vitamin D insufficiency during the winter months.
The prevalence of deficiency increases with ageing, affecting almost all elderly subjects not on vitamin D supplements. - When a condition of deficiency has been identified, a cumulative dose of 300,000-1,000,000 IU, over 1-4 weeks is recommended.
- In subjects recently treated for deficiency-insufficiency, a maintenance dose of 800-2,000 IU/day (or weekly equivalent) is recommended.
In patients on daily doses over 1,000 IU, 25(OH)D levels should be checked regularly (e.g. once every two years). - The highest tolerated daily dose has been identified as 4,000 IU/day.
- Vitamin D supplementation should be carefully monitored in patients at higher risk of vitamin D intoxication (granulomatosis) or with primary hyperparathyroidism.
- In pregnant women, vitamin D supplements should be given as in non-pregnant women, but bolus administration (i.e.: single dose >25,000 IU) should be avoided.
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Linee guida su prevenzione e trattamento dell'ipovitaminosi D con colecalciferolo
Guidelines on prevention and treatment
of vitamin D deficiency
S. Adami1, E. Romagnoli 2, V. Carnevale2, A. Scillitani3, A. Giusti4, M. Rossini1,
D. Gatti1, R. Nuti5, S. Minisola2
1Unità di Reumatologia, Dipartimento di Medicina, Università di Verona; 2Dipartimento di Medicina, Università La Sapienza, Roma; 3Unità di Endocrinologia, Ospedale S. Giovanni Rotondo, Foggia; 4Ospedale Galliera, Genova, Italia; 5Dipartimento di Medicina, Università degli Studi di Siena
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SUMMARY
The Italian Society for Osteoporosis, Minerai Metabolism and Bone Diseases (SIOMMMS) has elaborated the following guidelines about the definition, prevention and treatment of inadequate vitamin D status. The highlights are presented here.
• Daily vitamin D allowance ranges from 1,500 IU (healthy adults) to 2,300 IU (elderly with low calcium intake). Since the average Italian diet includes around 300 IU/day, subjects with no effective sun exposure should be supplemented with 1,200-2,000 IU vitamin D per day.
• The serum 25-hydroxy-vitamin D [25(OH)D] levels represents the most accurate way to assess vitamin D repletion, even though there are still no standardized assay methods.
• Conditions of "deficiency" and "insufficiency" are defined by the following ranges of 25(OH)D levels: less than 20 ng/ml and 20-30 ng/ml, respectively.
• In Italy, approximately 50% of young healthy subjects have vitamin D insufficiency during the winter months. The prevalence of deficiency increases with ageing, affecting almost all elderly subjects not on vitamin D supplements.
• When a condition of deficiency has been identified, a cumulative dose of 300,000-1,000,000 IU, over 1-4 weeks is recommended.
• In subjects recently treated for deficiency-insufficiency, a maintenance dose of 800-2,000 IU/day (or weekly equivalent) is recommended. In patients on daily doses over 1,000 IU, 25(OH)D levels should be checked regularly (e.g. once every two years).
• The highest tolerated daily dose has been identified as 4,000 IU/day.
• Vitamin D supplementation should be carefully monitored in patients at higher risk of vitamin D intoxication (granulomatosis) or with primary hyperparathyroidism.
• In pregnant women, vitamin D supplements should be given as in non-pregnant women, but bolus administra-tion (i.e.: single dose >25,000 IU) should be avoided.
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U FARMACOLOGIA DELLA VITAMINA D
Produzione e metabolismo Le azioni della vitamina D sono da attribuire al suo metabolita attivo, ossia l'1,25-diidrossicolecalciferolo [1,25(OH)2D3] o calcitriolo, che viene prodotto attraverso una serie di passaggi enzimatici a partire dal colecalciferolo o vitamina D3 L'ergo-calciferolo, o vitamina D2, segue le stesse tappe metaboliche. Sia la vitamina D3 che
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la vitamina D2 possono essere assunte con la dieta ma la quota preponderante di vitamina D3 deriva dalla conversione del 7-deidrocolesterolo (o provitamina D) (1) a seguito dell'esposizione della cute a raggi ultravioletti di specifica lunghezza d'onda (UVB tra 290 e 315 nm) (2). La luce solare è caratterizzata dalla presenza di queste radiazioni solo per un numero limitato di ore, che peraltro varia in relazione alla stagione ed alla latitudine. Per tale motivo, in Italia, la produzione di vitamina D legata
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ndirizzo per la corrispondenza Drof. Silvano Adami Reumatologia Policlinico GB Ross 37100 Verona
E-mail: Silvano.adami@univr.it
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all'esposizione solare è trascurabile nei mesi invernali. Altri fattori che condizionano fortemente la sintesi vitaminica sono l'età (a parità di esposizione solare il soggetto anziano ne produce il 30% in meno) (3, 4), la superficie e lo spessore della cute esposta al sole, il tempo di irradiazione, nonché l'uso di creme protettive, che possono ridurre del 97% la sintesi cutanea di vitamina D.
Alle latitudini temperate, l'80% del fabbisogno di vitamina D è garantito dall'irradiazione solare ed il restante 20% viene assicurato dall'alimentazione (5). La vitamina D3 è contenuta quasi esclusivamente nei grassi animali, mentre trascurabile è la quota di vitamina D2 presente in alcuni grassi vegetali.
La vitamina D è fortemente lipo-
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replezione vitaminica (5, 7). La 25(OH) D è un metabolita parzialmente idrofilo che si deposita solo a livello epatico e muscolare; la sua emivita è più breve di quella della vitamina D e tale da soddisfare il fabbisogno per non più di 12-18 giorni (8, 9). Trascorso tale periodo, nei pazienti con carenza di vitamina D cui sia stato somministrato 25(OH)colecalcifero-lo, dopo la sospensione del trattamento i livelli sierici di 25(OH)D tendono a ridursi rapidamente; la somministrazione di dosi mensili più elevate di calcifediolo supera questo problema (10). La conversione in 1,25(OH)2D3 (o calcitrio-lo) ad opera della 1-alfa-idrossilasi è attuata a livello di vari tessuti (vedi sotto) sebbene la quota più rilevante e attinente il controllo del metabolismo minerale si realizzi nei tubuli prossimali renali, richieda la presenza di ormone paratiroideo (PTH) e sia in parte modulata dai livelli sierici del calcio e del fosforo. I metaboliti di-idrossilati hanno emivita brevissima e non vengono depositati a livello tessutale. Nei soggetti affetti da insufficienza renale la produzione di 1,25(OH)2D viene progressivamente compromessa. Tuttavia l'attività alfa-idrossilasica non è più in grado di assicurare livelli ormonali normali solo in presenza di un notevole deterioramento della funzione renale. Di conseguenza la prevenzione della carenza di vitamina D con metaboliti idrossilati è giustificata solo nei pazienti affetti da insufficienza renale avanzata (stadio IV-V). Si deve tuttavia sottolineare come, anche in tali malati i livelli di 25(OH)D debbano essere mantenuti nel range di normalità per garantire un adeguato substrato alle 1-alfa-idrossilasi extra-renali (11).
D'altra parte il trattamento con metaboliti attivi finali della vitamina D potrebbe risultare in altre condizioni irrazionale e o addirittura potenzialmente rischioso, poiché la 1-idrossilazione è il gradino limitante del processo di sintesi della vitamina D attiva; esso costituisce quindi un meccanismo di protezione nei confronti di un'eventuale intossicazione, che è preservato con gli altri tipi di supplementazione. Studi condotti in pazienti con osteoporosi
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La vitamina D deriva per 4/5 dalla esposizione solare. Essa si deposita nel tessuto adiposo e la quota che si libera viene immediatamente convertita nel fegato in 25(OH)D, le cui concentrazioni sieriche rappresentano un preciso indicatore dei depositi di vitamina. La 25(OH) D viene convertita nel metabolita attivo 1,25(OH)2D soprattutto nel rene nell'ambito di un meccanismo omeostatico che coinvolge i livelli sierici di PTH, calcio e fosforo.
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solubile. Essa viene rapidamente assorbita a livello duodenale e digiunale e quindi distribuita attraverso la circolazione linfatica quasi totalmente al tessuto adiposo, da cui viene liberata in piccole quantità rispetto alla quota immagazzinata. Pertanto una maggiore massa adiposa "diluisce" la vitamina D, il che spiega perché il rischio della sua carenza sia più elevato nei soggetti obesi.
La vitamina D come tale rimane in circolo solo per brevissimo tempo e le sue concentrazioni ematiche sono pertanto molto ridotte (1-2 ng/ ml) e, nel corso del transito epatico, vengono convertite in 25-idrossico-lecalciferolo [25(OH)D3] ad opera dell'enzima 25-idrossilasi. Questo
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processo metabolico può aver luogo anche in presenza di una riduzione del tessuto epatico funzionante. Tuttavia, del tutto recentemente è stata documentata un'elevata prevalenza di ipovitaminosi D nei malati affetti da epatite cronica HCV-correlata; nei pazienti con genotipo 1 tale condizione sembra interferire con la risposta terapeutica all'interferone (6).
La 25(OH)D è il principale metabolita circolante della vitamina D e le sue concentrazioni sieriche costituiscono l'indice biochimico più attendibile dello stato di
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metasteroidea, dimostrerebbero tuttavia una maggiore efficacia del calcitriolo rispetto al colecalciferolo nella prevenzione del rischio di frattura.
Meccanismo d'azione Una volta attivata a 1,25(OH)2D, la vitamina D si lega ad uno specifico recettore (VDR) che appartiene alla superfamiglia dei recettori per gli steroidi. In realtà sono stati identificati due tipi di recettori per la vitamina D. Il primo, localizzato nel nucleo, è in grado di stimolare direttamente la trascrizione di geni e quindi la sintesi ex-novo di proteine (meccanismo geno-mico). L'altro recettore è localizzato sulla membrana cellulare e agisce inducendo la formazione di secondi messaggeri cellulari (come il cAMP, il diacilglicerolo, l'ino-sitolo trifosfato, l'acido arachidonico) o fosforilando alcune proteine cellulari. Tale meccanismo d'azione non genomico è in grado di modulare in maniera rapida la risposta cellulare a vari stimoli (12). I recettori per la vitamina D sono praticamente ubiquitari, a riprova del loro importante ruolo fisiologico, non solo nel metabolismo minerale ma anche in numerose altre funzioni dell'organismo. L'affinità del recettore della vitamina D per l'1,25(OH)2D è mille volte maggiore rispetto a quella per la 25(OH)D o per altri metaboliti.
A. Effetti su intestino, tessuto osseo e muscolo
L'1, 25(OH)2D determina un aumento dell'assorbimento intestinale di calcio attraverso l'induzione della sintesi di una proteina espressa sull'orletto a spazzola delle cellule dell'epitelio intestinale, che lega lo ione e lo trasporta dal lume al citoplasma cellulare. Inoltre, l'1,25(OH)2D facilita anche l'assorbimento passivo del calcio, aumentando la permeabilità delle "tight junctions" intercellulari. L'azione della vitamina D sul tessuto osseo si esplica attraverso l'interazione con recettori per l'1,25(OH)2D espressi dagli osteoblasti; è stato osservato che la vitamina D promuove la sintesi di alcune proteine, soprattutto l'osteocalcina, fondamentali per l'omeostasi del tessuto osseo.
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L'1,25(OH)2D inoltre induce la produzione di RANKL promuovendo così l'attivazione degli osteoclasti.
L'1,25(OH)2D è in grado di stimolare la produzione di proteine muscolari ma soprattutto di attivare alcuni meccanismi di trasporto del calcio a livello del reticolo sarcoplasmatico, che risultano essenziali per la contrazione muscolare. In condizioni di ipovitaminosi D sono stati descritti quadri di miopatia prossimale (difficoltà ad alzarsi dalla sedia, impotenza funzionale nel portare le braccia sopra la testa, ecc.), di sarcopenia e di riduzione della forza muscolare, con disturbi dell'equilibrio e con conseguente aumento del rischio di
cadute (13-24).
La carenza di vitamina D, soprattutto se protratta nel tempo, può portare a quadri di vera e propria disabilità. Il corrispettivo istologico è costituito da un'atrofia delle fibre muscolari di tipo II, un aumento degli spazi tra le fibrille muscolari e la sostituzione del tessuto muscolare con cellule adipose e tessuto fibroso (25). Nei soggetti anziani questo fenomeno può sommarsi alla fisiologica perdita di massa muscolare (sarcopenia). È stata riportata una riduzione del rischio di cadute in seguito alla somministrazione di vitamina D in soggetti anziani (26-30).
B. Effetti extra-scheletrici La vitamina D svolge importanti funzioni anche al di fuori del tessuto muscolo-scheletrico. E' stata infatti osservata la presenza di recettori per la vitamina D in vari tipi cellulari ed è stata documentata l'espressione della 1a-idrossilasi, ossia la capacità di produrre 1,25(OH)2D, nei macrofagi attivati, negli osteoblasti, nei cheratinociti e a livello di prostata, colon e mammella. La produzione locale di 1,25(OH)2D non contribuisce al mantenimento dell'omeostasi calcemica, come dimostrato dal fatto che i pazienti nefrectomizzati o con grave insufficienza renale sono caratterizzati da livelli di 1,25(OH)2D praticamente indosabili. La produzione locale di 1,25(OH)2D sembrerebbe implicata nei meccanismi di regolazione paracrina della crescita cellulare, compresa quella tumorale (31-37).
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Tale documentata attività anti-proliferativa ha promosso l'utilizzo dell'1,25(OH)2D o dei suoi metaboliti nel trattamento
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hanno ritenuto ottimale il livello di 25(OH) D associato a valori di PTH entro il range di normalità nel 90-100% della popolazione studiata. Quest'ultimo approccio definisce stime molto diverse della soglia di 25(OH) D, ossia 32-50 nmol/l (12,8-20 ng/ml) e 68-78 nmol/l (27, 2-31 ng/ml), in funzione del metodo statistico utilizzato nella costruzione del modello di regressione (44, 45). Peraltro l'approccio legato ai livelli di PTH risente anche della durata dello stato carenziale (sino allo sviluppo di forme simili all'iperparatiroidismo terziario) e dell'apporto di calcio con la dieta, in quanto una condizione di carenza di vitamina D può essere mascherata da un apporto di calcio con la dieta particolarmente generoso e vice-versa (46). D'altra parte i livelli di PTH sierico sono notevolmente condizionati dallo stato vitaminico D per concentrazioni di 25(OH)D inferiori a 16,3 ng/ml e dalla calcemia per livelli vitaminici al di sopra di tale soglia (47). Teoricamente il metodo più accurato per stimare le concentrazioni minime di vitamina D sarebbe quello di rilevare la comparsa dei segni istologici di osteomalacia (vedi sotto); tuttavia questo approccio è poco pratico e probabilmente anche poco sensibile. Nell'ultimo decennio vari studi osservazio-nali hanno documentato una relazione tra i livelli di 25(OH)D e svariati altri parametri: valori di densità minerale ossea (BMD) (48, 49), propensione a cadere, incidenza di fratture, eventi cardio-vascolari, neoplasie (specie colon, mammella e prostata), sindromi depressive, diabete, sclerosi multipla e numerose altre condizioni morbose. La relazione tra livelli di 25(OH)D e rischio relativo per alcune di queste condizioni sembrerebbe indicare che le concentrazioni ottimali di 25(OH)D si attestino intorno a 75-100 nmol/l (o 30-45 ng/ml) (49) [(Fig. 1), modificata da 49].
In anni recenti diversi autori, sulla scorta di meta-analisi e studi trasversali, hanno identificato il valore soglia di un adeguato stato vitaminico D con una concentrazione sierica di 25(OH)D pari a 32 ng/ml. Si deve tuttavia sottolineare come, in mancanza di studi di intervento, tale valore soglia non possa essere conclusivamente definito. Co-
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L'1,25(OH)2D, è il metabolita attivo della vitamina D che esercita le sue azioni attraverso l'interazione con specifici recettori (VDR) nucleari o situati sulla superficie cellulare. Esercita una cruciale influenza sul metabolismo calcio-fosforico, aumentando l'efficienza dell'assorbimento intestinale di calcio, incrementando il riassorbimento tubulare renale di calcio e fosforo e interferendo positivamente sulla attività osteoblastica ed osteoclastica. Promuove inoltre alcune funzioni muscolari. L'1,25(OH)2D infine contribuisce al controllo della proliferazione cellulare, con effetti sul sistema immunitario, sulla cute e su numerose neoplasie.
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della psoriasi (38) e ne ha fatto ipotizzare l'impiego in alcuni tipi di neoplasie (prostata, mammella e colon) (39).
L'identificazione del VDR nel tessuto renale e la correlazione negativa rilevata tra i livelli di 1,25(OH)2D e renina suggeriscono un possibile ruolo della vitamina D anche nella regolazione della pressione arteriosa (40). È nota inoltre la capacità della vitamina D di modulare l'attività del sistema immunitario, attraverso azioni esercitate sui linfociti B e T e sulle cellule della linea monocito-macrofagica. Una correzione del deficit di vitamina D potrebbe in tal senso contribuire alla riduzione del rischio di svariate malattie autoimmuni compreso il diabete tipo 1 (41). Relativamente a quest'ultima patologia si rammenta che le cellule delle isole pancreatiche esprimono i recettori VDR e che l'1,25(OH)2D è in grado di promuovere la sintesi e la secrezione di insulina.
Tuttavia, per una parte degli effetti extrascheletrici ipotizzati in base agli studi di associazione manca
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tuttora una solida dimostrazione scientifica, poiché i pochi studi di intervento non hanno fornito risultati univoci.
? LIVELLI OTTIMALI DI 25(OH)D
Sebbene non sia stata ancora acquisita una adeguata standardizzazione dei metodi di dosaggio (42), la concentrazione sierica di 25(OH)D è ritenuta il miglior indicatore clinico della riserva di vitamina biodisponibile. La definizione dei livelli normali di 25(OH)D si è profondamente modificata nell'ultimo decennio. Il primo approccio fu quello basato sui livelli minimi di 25(OH)D necessari per garantire un ottimale assorbimento intestinale di calcio. Questo limite fu stabilito in 32 ng/ml (80 nmol/l) (43). Altri
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sì, recentemente queste soglie di normalità sono state messe in discussione da un re-port dell'Institute of Medicine (IOM) (51). Nel presente documento per quanto attiene i livelli soglia di 25(OH)D sotto i quali si hanno conseguenze negative vengono sviluppati i seguenti punti:
A. Rachitismo e osteomalacia
In presenza di un normale apporto di calcio con la dieta il rischio di rachitismo aumenta per livelli di 25(OH)D inferiori a 25 nmol/l (10 ng/ml) (43) ma è ancora minimo per livelli compresi tra 25 and 50 nmol/l. Recenti dati autoptici (52) hanno documentato la presenza di osteomalacia per livelli di 25(OH)D inferiori o uguali a 50 nmol/l (20 ng/ml). Tuttavia, quando l'apporto di calcio è inadeguato per evitare il rischio di osteomalacia potrebbero essere necessari livelli superiori a 75 nmol/l (30 ng/ml).
B. Rischio di frattura
Risultati di studi d'intervento Esiste un'ampia variabilità di dati. In alcuni studi si conclude che livelli di 25(OH)D superiori a circa 40 nmol/l siano sufficienti per garantire un'adeguata protezione ossea, ma in altri questa soglia è posta a 50 nmol/l
(53-57).
Risultati di studi osservazionali Numerosi studi osservazionali hanno messo in relazione i livelli di 25(OH)D con il rischio di frattura (prevalentemente di femore) (58, 59). In tutti questi studi, bassi livelli di 25(OH)D si associano ad un più elevato rischio di frattura. I valori soglia oltre i quali non si osservano ulteriori benefici non sono molto univoci e variano da 40 nmol/l (60) a 50 nmol/l (61) a 60-70 nmol/l (62-65).
Va sottolineato che con l'eccezione dello studio condotto in Svezia (60) ove peraltro l'apporto di calcio è molto elevato e le concentrazioni di 25(OH)D piuttosto omogenee, la maggior parte degli altri studi indica che un significativo incremento del rischio di frattura si osserva per valori di 25(OH)D inferiori a circa 60 nmol/l. D'altra parte quest'ultima soglia è stata identificata dall'IOM in 50 nmol/l, in con-
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Median 25(OH)D concentration (nmol/L)
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Figura 1 - Relazione tra livelli di 25(OH)D e rischio relativo per alcune condizioni patologiche.
trasto ad altre autorevoli posizioni (66). Si rammenta in particolare come in 2 meta-analisi di trial randomizzati e controllati (RCTs) una soglia di 50 nmol/l risultasse inadeguata a garantire una riduzione del rischio di fratture e cadute (28, 67). Inoltre dallo studio NHANES, la relazione tra livelli di BMD e 25(OH)D dimostrava una chiara persistenza della correlazione positiva per valori ben oltre i 50 nmol/l (48,49). La parziale incoerenza di queste posizioni e dei risultati dei vari studi può essere attribuita all'interazione tra livelli di 25(OH)D e apporto di calcio con la dieta, poichè in presenza di una dieta particolarmente ricca di calcio possono essere sufficienti livelli di 25(OH)D più bassi e vice-versa (46, 68). Va anche ricordato che l'espressione dei recettori per la vitamina D (e quindi la risposta alla vitamina D) si riduce con l'avanzare dell'età a livello di tutti i tessuti, ed in particolare di intestino, rene e muscolo (69). Anche il meccanismo di regolazione renale della produzione di 1,25(OH)2D in risposta al PTH sembra attenuarsi con l'invecchiamento (70, 71). Queste ultime osservazioni farebbero quindi ritenere che negli anziani i livelli ottimali di 25(OH)D debbano essere un po' superiori a quelli identificati per i giovani. In conclusione considerando che: a) i livelli sierici di 25(OH)D auspicabili
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Tabella I - Interpretazione dei livelli ematici di 25(OH)D.
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esposizione solare che per squilibri dietetici. L'esposizione solare, in termini tanto di superficie corporea esposta quanto di tempo di irradiazione, si riduce con l'avanzare dell'età, in rapporto a ragioni socioculturali o a patologie oculari o cutanee che ne limitano la tollerabilità. Si rammenta inoltre che la produzione cutanea di vitamina D, a parità di esposizione ultra-violetta, si riduce con l'età. Anche l'assunzione dei cibi che contengono le quantità maggiori di vitamina D (latte e derivati, grassi animali) diminuisce con l'avanzare degli anni per il timore di aumentare il rischio cardiovascolare.
Un quadro preoccupante è emerso anche da studi policentrici internazionali che hanno inaspettatamente documentato una maggiore prevalenza di ipovitaminosi D nei paesi del Sud Europa (Italia, Grecia e Spagna) (79, 82, 87). In Italia i cibi non vengono addizionati in vitamina D e di conseguenza la correzione del deficit è comunemente affidata alla supplementazione farmacologica.
Nella pratica clinica sia per il trattamento dell'osteopenia che dell'osteoporosi postmenopausale è usualmente indicata ed utilizzata la combinazione di calcio e vitamina D, disponibile in varie formulazioni farmaceutiche nel nostro Paese. Questo trattamento si è dimostrato in grado in vari trial clinici di ridurre il rischio di fratture femorali in particolari gruppi di pazienti (88, 89). Per la scarsissima compliance a queste formulazioni (90, 91) accade spesso che persino nei pazienti in trattamento con farmaci per la terapia dell'osteoporosi la supplementazione con vitamina D sia infrequente e sospesa precocemente (92), malgrado la raccomandazione riportata nel foglietto illustrativo dei farmaci per l'osteoporosi e nella Nota 79 dell'AIFA. È stato documentato proprio in Italia che ciò tende a vanificare gli outcome terapeutici dei farmaci utilizzati per l'osteoporosi (93-95). Il problema della carenza di vitamina D non è esclusivo appannaggio degli anziani. Un recente studio volto a stabilire i valori di normalità dei marker del metabolismo minerale in soggetti giovani e sani ha dimostrato che la carenza di vitamina D
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verosimilmente aumentano con l'età
(46);
b) in Italia l'apporto di calcio è in genere assai modesto (46, 72, 73);
c) il rischio di intossicazione da vitamina D (vedi sotto) è piuttosto remoto;
appare ragionevole identificare conservativamente la soglia del deficit vitaminico con una concentrazione sierica di 25(OH) D inferiore a 75 nmol/l (30 ng/ml).
Queste linee guida quindi ritengo-
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L'insufficienza di vitamina D interessa la quasi totalità della popolazione anziana italiana che non assume supplementi di vitamina D. Ciò appare legato alla dieta (pochi grassi animali, infrequente addizione di vitamina D negli alimenti) ed alla scarsa esposizione solare. L'insufficienza di vitamina D interessa circa il 50% dei giovani, almeno nei mesi invernali.
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no accettabili i range dei livelli di 25(OH)D riportati da Holick (74)
(Tab. I).
Nella tabella I, si definisce carenza un deficit marcato e insufficienza un deficit sfumato (o meno severo) di vitamina D, mentre le concentrazioni superiori a 30 ng/ml (75 nmol/l) possono essere considerate ottimali (75). Si deve tuttavia ricordare come secondo alcuni Autori anche livelli sierici di 25(OH)D superiori a 20 ng/ml (50 nmol/l) sarebbero associati a riduzione del turnover osseo e del rischio di frattura (76, 77) e potrebbero quindi considerarsi ottimali.
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? PREVALENZA DEL DEFICIT DI VITAMINA D IN ITALIA
La carenza di vitamina D è particolarmente frequente in Italia, specie negli anziani e nei mesi invernali (4, 78-85). La carenza è tanto comune e di tale entità che l'86% delle donne italiane sopra i 70 anni presenta livelli ematici di 25(OH)D inferiori ai 10 ng/ml alla fine dell'inverno (72). Questo rilievo assume aspetti drammatici nei soggetti istituzionalizzati o con altre patologie concomitanti (78, 83, 86), sia per la scarsa
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interessava il 30 ed il 65% dei soggetti per cut-off di 25(OH)D <20 ng/ml o <30 ng/ml, rispettivamente (96). Il problema peggiora nei mesi invernali anche nei giovani ed in particolare nelle donne (81).
? STRATEGIE DI PREVENZIONE E CURA DELLA CARENZA
DI VITAMINA D CON COLECALCIFEROLO
Fattori che determinano i livelli sierici di 25(OH)D e le loro modificazioni in risposta alla somministrazione orale di vitamina D.
Diversi fattori, fra cui il livello iniziale di 25(OH)D, influiscono sull'incremento della 25(OH)D sierica in risposta a una data dose di vitamina D. Con una dose di 2,5 \ig (100 UI/die), l'incremento medio varia da 2,75 nmol/l (1,1 ng/ml) per bassi livelli iniziali di 25(OH)D a 1,75 nmol/l (0,7 ng/ml) per livelli iniziali più elevati (quasi ottimali) (97). L'incremento dei livelli di 25(OH) D in risposta a una data dose di vitamina D è anche funzione della massa corporea, risultando inferiore in soggetti con elevato indice di massa corporea (BMI) rispetto a quelli con BMI nella norma (98, 99). Altri fattori, che pure influiscono sui livelli di 25(OH)D, non hanno alcun impatto noto sulla risposta della 25(OH)D alla supple-mentazione con vitamina D. Ad esempio, l'uso di estrogeni aumenta i livelli sierici misurati di 25(OH)D tramite l'aumento dei livelli di proteina di legame della vitamina D (100), ma non altera l'incremento della 25(OH)D sierica conseguito attraverso la supplementazione. Inoltre, i livelli sierici di 25(OH)D diminuiscono con l'invecchiamento, ma la risposta della 25(OH)D sierica ad una data dose di supplementazione con vitamina D è indipendente dall'età (101). Infine, l'apporto alimentare di calcio, entro l'intervallo normalmente consumato, non influisce sulla risposta della 25(OH) D sierica alla supplementazione con vitamina D. Quest'ultimo concetto va tenuto distinto dalle osservazioni secondo cui il fabbisogno di calcio può dipendere dallo stato vitaminico D (46, 102).
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Fabbisogno di vitamina D
Per stimare il fabbisogno di vitamina D è necessario conoscerne la quantità normalmente utilizzata dall'organismo. Quest'ultima non è mai stata definita e deve quindi essere stimata empiricamente, sulla base delle dosi necessarie per raggiungere e mantenere gli auspicabili livelli sierici di 25(OH)D prima indicati. In soggetti con carenza o insufficienza di vitamina D e quindi verosimilmente con un apporto dietetico/solare molto basso (ad esempio <400 UI/die) una dose giornaliera inferiore a 2.000 unità non è in grado di consentire il raggiungimento di adeguati livelli di 25(OH)D (Adami S: dati personali;
103, 104).
Sulla base dei dosaggi utilizzati in vari trial per il trattamento dell'osteoporosi, che prevedevano la somministrazione di vitamina D a pazienti con carenza od insufficienza, si è stimato che per raggiungere livelli di 25(OH)D pari o superiori a 75 nmol/l occorre assumere tra le 1.800 e le 4.000 UI di vitamina D al giorno (105, 106). Possiamo quindi ragionevolmente ipotizzare un fabbisogno medio giornaliero di vitamina D intorno a 1.500-2.300 UI/die, tenendo conto che esso può aumentare con l'età, la massa corporea, la massa grassa e l'apporto di calcio.
Il problema della definizione del fabbisogno giornaliero può essere affrontato anche mettendo in relazione l'apporto vitaminico D e le concentrazioni di 25(OH)D. I dati più consistenti al riguardo sono quelli raccolti nello studio NHANES, 2005-2006 (107). I risultati di questa indagine nelle donne sono riassunti nella tabella II, ove vengono anche riportati i livelli medi di 25(OH)D rilevati in Italia per simili range di età. Si noti che, qualora si assuma come soglia di normalità un valore di 25(OH)D pari a 75 nmol/l, la prevalenza della carenza di vitamina D in Italia appare leggermente inferiore rispetto agli USA nei soggetti giovani, ma nettamente superiore tra gli anziani. Nella rilettura di questi dati da parte dello IOM (51) si assume che l'esposizione solare contribuisca per solo il 30% all'apporto di vitamina D, il che contraddice i dati sperimentali ottenuti negli USA e nel Nord-
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America (5, 74), secondo cui l'esposizione solare contribuisce invece per l'80%. Negli studi epidemiologici italiani (72, 96) si è documentata una differenza del 40% circa tra i valori di 25(OH)D rilevati nei soggetti con minima e in quelli con media esposizione solare, facendo ritenere che quest'ultima contribuisca per il 60-90% al fabbisogno di vitamina D. Queste percentuali sono molto rilevanti per stimare il fabbisogno giornaliero globale (sole, alimenti, supplementi) di vitamina D atto a conseguire normali livelli di 25(OH) D. Le conseguenze sulla stima del fabbisogno di vitamina D, utilizzando i dati NHA-NES e assumendo il contributo dell'esposizione solare ai livelli di 25(OH)D pari a 30% o 80% sono riportati nella tabella III. L'intake globale (sole, alimenti, supplementi) negli USA di vitamina D in soggetti anziani è di circa 600 UI/die se si assume un contributo della esposizione solare pari al 30% (400 orale +200 esposizione sole)
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che sale a 2.000 UI/die se la quota attribuita all'esposizione solare è pari all'80% (400 orale +1.600 esposizione solare). La stima del fabbisogno giornaliero di vitamina D può essere fatta anche seguendo un altro approccio. È stato osservato che per ogni 100 UI di vitamina D assunta i livelli di 25(OH)D aumentano di 1 ng/ml (2,5 mmol/l). Se questa relazione si mantenesse lineare per qualsiasi livello iniziale di 25(OH)D, la somministrazione quotidiana di 2.000 UI di vitamina D3 garantirebbe comunque concentrazioni sieriche pari o superiori a 20 ng/ml anche nei soggetti con trascurabile esposizione giornaliera alla luce solare (43).
Deve essere ricordato che la stima di un fabbisogno giornaliero di vitamina D pari a 2.000 UI (valore ottenuto dalle tre analisi esposte sopra) si associa a livelli medi di 25(OH)D sub-ottimali, per cui appare ragionevole ipotizzare che l'apporto ottimale globale (esposizione solare, alimenti, sup-
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Tabella II - Relazione tra apporto vitaminico D e concentrazioni di 25(OH)D: risultati dello studio NHANES.
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'Isaia et al.; 2Adami et al.
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Tabella III - Stima del fabbisogno giornaliero di vitamina D in soggetti sani assumendo che l'irradiazione solare fornisca il 30 o l'80% del fabbisogno giornaliero medio.
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plementi) potrebbe anche essere superiore a quello precedentemente suggerito.
Fonti di vitamina D in Italia
L'apporto dietetico di vitamina D e l'efficace esposizione alla luce solare sono i principali fattori che determinano il livello
sierico di 25(OH)D.
La vitamina D è presente nei cibi in limitate quantità. La maggiore fonte è costituita dai grassi animali contenuti soprattutto nei pesci grassi (ad esempio il salmone) e nei latticini.
Al fine di garantire un maggiore apporto di vitamina D attraverso i prodotti lattiero-caseari sarebbe necessario addizionare tali alimenti, come avviene per ora solo nei paesi del nord Europa e più diffusamente nel Nord America, dove tuttavia questa supplementazione garantisce solo un apporto medio di 40-80 UI/die nei soggetti giovani e 160-200 UI/die nelle persone dopo i 50 anni (108). Questa stima USA sulla supplementazione vitaminica D degli alimenti di più comune uso è stata fatta qualche anno fa (109) ma assume ora maggiore rilievo per la crescente percezione del ruolo della vitamina D nell'epidemiologia di molte malattie (51).
È verosimile che il contributo della dieta ai livelli di 25(OH)D sia in Italia considerevolmente inferiore rispetto agli USA, sia per la tipologia della dieta (meno grassi animali) sia per la infrequente supplementazione di vitamina D negli alimenti di comune uso. Ciò espone ancor di più alla carenza le persone anziane con scarsa esposizione solare.
Nei secoli scorsi esporsi al sole durante i mesi estivi (quelli efficaci per la sintesi cutanea di vitamina D) era l'ineludibile necessità di una popolazione dedita in prevalenza a lavori all'aria aperta e che includeva una minore percentuale di soggetti anziani. Oggi l'esposizione solare è per lo più voluttuaria e gradita solo da una parte dei giovani. La maggior parte della popolazione, particolarmente con l'avanzare dell'età, limita invece l'esposizione al sole ed utilizza sempre più spesso creme protettive, che riducono la fotosintesi della vitamina. Nelle popolazioni che assumono
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una dieta povera di vitamina D (come è in generale la dieta mediterranea) la sua carenza tra gli anziani assume inevitabilmente dimensioni epidemiche.
Impiego dei supplementi di vitamina D
La dose di vitamina D consigliata viene espressa come posologia giornaliera. Tuttavia, a parità di dose cumulativa, la vitamina D può anche essere somministrata attraverso boli settimanali (110). Per migliorare l'aderenza al trattamento è possibile ricorrere anche a boli mensili o trimestrali; in tal caso le dosi equivalenti, secondo alcuni Autori, dovrebbero essere maggiori di quelle giornaliere o settimanali cumulative
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(111). In alcuni casi si è ricorso per ragioni pratiche anche ad un bolo annuale (90).
Va tuttavia segnalato come, secondo un recente studio, la somministrazione di un bolo annuale di 500.000 UI di colecalciferolo a un gruppo di donne anziane inducesse l'effetto paradossale di aumentare il rischio di cadute e di fratture (112). Malgrado i grossolani limiti metodologici di questa ricerca, in cui non erano stati controllati i fattori di rischio di cadute e di frattura e
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Il fabbisogno di vitamina D varia da 1.500 UI/die (adulti sani) a 2.300 UI/die (anziani). L'alimentazione in Italia fornisce in media circa 300 UI/ die, per cui quando l'esposizione solare è virtualmente assente debbono essere garantiti supplementi per 1.200-2.000 UI/die.
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in cui la popolazione studiata presentava livelli iniziali di 25(OH)D doppi rispetto alla popolazione anziana italiana, i risultati di questo studio suggeriscono un approccio preventivo di comunità con boli più contenuti (al massimo di 300.000 UI). Tale approccio sembrerebbe almeno inizialmente giustificato dalla farmaco-cinetica della vitamina D con lo scopo di "saturare" i depositi dell'organismo. La vitamina D va normalmente somministrata per via orale, limitando l'utilizzo della via intramuscolare ai pazienti con severe sindromi da malassorbimento. Gli schemi posologici raccomandati devono tener conto di potenziali interferenze di altri farmaci o condizioni morbose (Tab.
IV).
La posologia della vitamina D da consigliare può quindi anche variare a seconda della condizione clinica trattata e degli obiettivi terapeutici che ci si prefiggono.
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Tabella IV - Condizioni cliniche che interferiscono con il metabolismo della vitamina D.
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degli stati carenziali sia considerevolmente inferiore rispetto all'Italia e sono atti a garantire livelli sierici di 25(OH)D superiori a 50 nmol/l, ma inferiori a quelli auspicati da queste linee guida (75-80 nmol/l). Infatti, una supplementazione con 600 UI/die in soggetti di età maggiore di 70 anni non modifica in maniera sostanziale la proporzione di soggetti carenti (110). Il dosaggio dei livelli sierici della 25(OH) D può essere ritenuto un buon indicatore del fabbisogno giornaliero. Tuttavia, l'impiego di tale dosaggio, nell'ambito di uno screening generalizzato o addirittura per il periodico monitoraggio in corso di supple-mentazione, non appare economicamente accettabile.
Nell'adulto giovane è stato calcolato che un'esposizione estiva su ambedue le super-fici del corpo della durata di 20-30 minuti/ die nelle ore mediane della giornata equivale ad un apporto di 10.000-20.000 UI di vitamina D.
È quindi ragionevole ritenere che una persona giovane (<60 anni) con uno stile di vita caratterizzato da normale esposizione solare (una vacanza marina all'anno, e più di 20 minuti/die di vita all'aperto nel periodo estivo) (72, 96), non abbia bisogno di eseguire controlli per verificare un eventuale stato di insufficienza e quindi neppure di supplementi.
In soggetti anziani con una età tra 60 e 70 anni, si può ritenere che non esista uno stato di insufficienza di vitamina D solo in presenza di stili di vita caratterizzati ad esempio da prolungate vacanze d'estate, con ampia esposizione solare. Per questo intervallo di età (60-70 anni) un controllo dei livelli di 25(OH)D appare altrimenti giustificato. Tuttavia, un approccio pragmatico che preveda la supplementazione "in cieco" con 600-1000 UI/die appare anche accettabile, una volta escluse le condizioni in cui la vitamina D può essere controindicata (vedi sovradosaggio). In persone di età superiore a 70 anni (ed in maniera crescente con l'avanzare dell'età) che non assumano supplementi di vitamina D la carenza vitaminica ha una prevalenza vicina al 100%. In questi casi, laddove non sia indispensabile il controllo della 25(OH)
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Diminuita bio-disponibilità
A. Malassorbimento di grassi
- Fibrosi cistica
- Malattia celiaca
- Morbo di Whipple
- Morbo di Crohn
- Intervento di by- pass gastro-intestinale
- Farmaci che riducono l'assorbimento di grassi
- Altro
B. Ridotta disponibilità
- Obesità con sequestro della vitamina D nel tessuto adiposo
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Aumentato catabolismo / consumo
- Anticonvulsivi
- Glucocorticoidi
- Farmaci per il trattamento dell'AIDS o anti-rigetto.
- Allattamento e gravidanza
Diminuita sintesi di 25(OH)D (somministrare anche calcidiolo)
- Grave insufficienza epatica
Perdite urinarie di 25(OH)D
- Sindrome nefrosica
Diminuita sintesi di 1,25(OH)2D (somministrare anche calcitriolo)
- Insufficienza renale cronica
- Iperfosforemia
- Deficit congeniti di 1-idrossilasi
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Prevenzione dell'insufficienza di vitamina D
Per prevenzione dell'insufficienza si intende la dose di vitamina D da consigliare a soggetti in cui il deficit vitaminico sia già stato corretto e la supplementazione sia finalizzata a prevenirne la recidiva. In molte linee guida si è preferito dare raccomandazioni universali, di facile comprensione ed adozione. In particolare è raccomandato un apporto minimo quotidiano di 200 UI di vitamina D dal secondo mese di vita fino all'adolescenza (113), di 400 UI in età adulta e di almeno 600 UI (15 pg) sopra i 70 anni (114). Questi apporti minimi raccomandati sono stati recentemente rivisti dalla IOM, che propone 400 UI fino ad 1 anno di vita, 600 UI fino ai 70 anni (anche durante la gravidanza e l'allattamento) ed 800 UI sopra i
70 anni (51).
Questi dosaggi possono essere ritenuti accettabili in contesti in cui la prevalenza
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D sierica, è pienamente giustificato avviare un trattamento "in cieco", dopo aver escluso la presenza di controindicazioni. Uno schema che garantisce comunque un ampio margine di sicurezza in termini di sovradosaggio potrebbe essere rappresentato dalla somministrazione di un bolo unico di 300.000 UI nei mesi invernali seguito da 1.000 UI/die (o equivalenti settimanali o mensili).
Per tutti gli schemi citati sopra va ricordato che in presenza di precarie condizioni nutrizionali o sindromi da malassorbimento intestinale e in caso di somministrazione di alcuni farmaci (ad esempio anticonvulsivanti o glucocorticoidi) è opportuno aumentare le dosi o ricorrere alla somministrazione parenterale.
Sebbene pochi studi siano stati pubblicati su questo specifico argomento, l'impiego dei metaboliti idrossilati della vitamina D sembra trovare indicazione solo in alcune particolari condizioni.
Trattamento della carenza e insufficienza di vitamina D
L'obbiettivo della terapia della carenza e dell'insufficienza di vitamina D è quello di ripristinare normali livelli sierici e quindi dei depositi di 25(OH)D, in tempi brevi. La dose cumulativa da somministrare nel giro di alcune settimane può variare in funzione della gravità della carenza e della massa corporea. Il valore di 25(OH)D rilevato al momento dell'identificazione dello stato carenziale o di insufficienza può essere ritenuto un buon indicatore del fabbisogno
(Tab. V).
A questa dose deve seguire una dose di mantenimento, per evitare di ritornare nelle condizioni di insufficienza o carenza (103, 115); qualora persistano le condizioni che
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hanno indotto tale stato carenziale o di insufficienza (Tab. V) il dosaggio dovrà essere superiore.
Una stima accurata degli effetti di dosi "terapeutiche" di vitamina D non è mai stata fatta, ma esistono alcuni studi sull'effetto di boli di vitamina D sui livelli di 25(OH) D negli adulti. Al fine di incrementare le concentrazioni di 25(OHD), possono essere utilizzate sia la vitamina D2 che la vitamina D3, a dosaggio adeguato. Al riguardo si deve infatti segnalare come gli incrementi delle concentrazioni sieriche di 25(OH)D conseguiti attraverso la somministrazione di vitamina D3 siano più pronunciati di quelli ottenuti somministrando
vitamina D2 (116, 117). È stato riportato che un bolo di 100.000 UI di colecalciferolo innalza di 10 ng/ml i livelli di 25(OH)D per 3 mesi (118), uno di 300.000 UI mantiene livelli superiori a 32 ng/ml per almeno due mesi (116) mentre 600.000 UI di circa 40 ng/ml per 3 mesi
(119).
In uno studio condotto in Australia boli annuali di 500.000 UI determinavano incrementi della 25(OH)D di circa 20 ng/ml entro il primo mese (112). Se la carenza è definita dal riscontro di livelli di 25(OH)D inferiori a 20 ng/ml, per conseguire valori sicuramente superiori a 30 ng/ml, si dovrà somministrare agli adulti, nell'arco di alcune settimane, una dose cumulativa compresa tra 600.000 e 900.000 UI, in relazione al valore iniziale di 25(OH)D. Nella tabella V sono indicati a titolo orientativo alcuni possibili schemi di trattamento.
Nei soggetti carenti o persistentemente a rischio per carenza può essere opportuno un controllo della 25(OH)D sierica dopo 3-6 mesi.
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Tabella V - Stima della dose terapeutica e di quella di mantenimento in funzione dei livelli di 25(OH)D in soggetti che non hanno ricevuto supplementi nell'ultimo anno.
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M SUPPLEMENTAZIONE VITAMINICA D IN ETÀ PEDIATRICA
Nei lattanti la supplementazione vitaminica D dipende dall'apporto materno di vitamina D (120). Con l'allattamento artificiale la Federal Food, Drug, and Cosmetic Act (121) raccomanda un apporto alimentare di 100 UI/100 Kcal e quindi un apporto variabile tra 265 e 660 UI/die. In bambini di età inferiore a 6 mesi l'apporto consigliato è di 300 UI/die e nei bambini con una età superiore a 6 mesi 400 UI/die. L'Institute of Medicine ha recentemente riconosciuto che al di sotto di un anno di età le attuali evidenze non consentono di fornire raccomandazioni ed è possibile solo ipotizzare che sia adeguato un introito di 400 UI/die; la dose raccomandata aumenta a 600 UI dopo l'anno di vita (51). Questo apporto può aumentare se i bambini non sono esposti alla luce del sole e comunque nei mesi invernali.
La dose di supplementi eventualmente consigliata dovrà anche tener conto della possibile presenza di vitamina D negli alimenti (latte artificiale o cibi per neonati).
M FABBISOGNO DI VITAMINA D E GRAVIDANZA
Negli anni '60, in Gran Bretagna furono segnalati alcuni casi di Stenosi Sopravalvolare Aortica (SAS) associati ad ipercalcemia, attribuita ad un apporto eccessivo di vitamina D (122, 123). Queste osservazioni hanno indotto una drastica riduzione dell'uso di supplementi in gravidanza ed alcune schede tecniche di farmaci riportano la gravidanza tra le controindicazioni all'uso di vitamina D. Negli anni successivi fu chiarito che la SAS corrisponde in verità alla Sindrome di Williams (124), condizione legata ad una alterazione del gene che controlla la sintesi dell'elastina, in cui è presente una aumentata conversione della vitamina D in
25(OH)D.
Negli anni successivi sono stati condotti numerosi lavori sperimentali di intossicazione di vitamina D in gravidanza, in cui
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non è mai stata documentata l'insorgenza di sindromi anche vagamente simili alla SAS nei neonati (120). Malgrado ciò le schede tecniche dei prodotti contenenti supplementi di vitamina D continuano ad includere raccomandazioni strettissime sull'utilizzo della vitamina D nelle gravide.
Queste raccomandazioni possono avere un impatto negativo rilevante in termini di salute pubblica. Infatti, molti lavori hanno chiaramente dimostrato che la carenza di vitamina D in gravidanza ha effetti negativi sia sulla madre che sul neonato e che in gravidanza la prevenzione della carenza di vitamina D deve essere fatta come nelle donne non gravide (125). Le linee guida più recenti raccomandano la somministrazione
di 600 UI/die di vitamina D (51). M SOVRADOSAGGIO
Una eccessiva somministrazione di vitamina D può determinare intossicazione, caratterizzata da ipercalcemia e rapido deterioramento della funzione renale. I pochi casi descritti in passato si riferiscono all'uso di dosi elevatissime di vitamina D, utilizzate sino a 30 anni fa per il trattamento dell'ipoparatiroidismo. Secondo alcuni autori dosaggi fino a 2.000 UI/die o, più recentemente, fino a 4.000 UI/ die (51, 126) risultano del tutto sicuri dopo i 9 anni di età.
Questo dosaggio dovrebbe tuttavia essere commisurato all'apporto non farmacologico di vitamina D. In altri termini, se 2.000 UI/die in soggetti anziani con scarsa esposizione solare possono essere considerate assolutamente sicure (ed in alcuni casi persino insufficienti), la stessa dose potrebbe non essere altrettanto sicura a lungo termine nei soggetti giovani, magri e con frequente esposizione solare. In alcune condizioni (granulomatosi, iper-paratiroidismo primitivo) si rileva una abnorme conversione, substrato-dipendente, della 25(OH)D nel metabolita attivo 1,25(OH)2D; pertanto, in pazienti affetti da queste patologie i livelli di 25(OH) D debbono essere mantenuti rigidamente
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nel range di normalità. In questi casi si raccomandano dosi più basse e controlli periodici dei livelli sierici della 25(OH)D. Recentemente l'Institute of Medicine ha identificato in 4.000 UI/die la dose massima tollerata (51).
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Carenza [25(OH)D <20 ng/ml] ed insufficienza [25(OH)D tra 20 e 30 ng/ml] sono condizioni molto comuni nella popolazione italiana e la loro prevalenza aumenta con l'avanzare dell'età. Il dosaggio della 25(OH)D sierica rappresenta il metodo più appropriato per stimare lo stato
di replezione vitaminica D. I dati epidemiologici consentono comunque di presumere carenti tutti gli anziani che non stiano assumendo supplementi. In presenza di carenza o insufficienza vanno somministrate nell'arco di 1-4 settimane dosi cumulative di vitamina D variabili tra 300.000 e 1.000.000 di UI. La dose giornaliera (o equivalenti settimanali, mensili o trimestrali) di mantenimento, dopo aver raggiunti livelli normali di 25(OH)D, varia in funzione dell'età e dell'esposizione solare, con un range tra 800 e 2.000 UI/die. Un controllo dei livelli di 25(OH)D è raccomandato dopo trattamenti con dosi quotidiane superiori a 1.000 UI, per più anni. I supplementi di vitamina D devono essere usati con cautela e monitorando periodicamente i livelli di 25(OH) D nei pazienti con malattie granulomatose (quali ad esempio la sarcoidosi) ed iperparatiroidismo primitivo. In gravidanza i supplementi con vitamina D possono essere utilizzati come nelle donne non gravide, evitando comunque l'uso dei boli.
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M UTILITÀ CLINICA DEL
DOSAGGIO DELLA 25(OH)D
Per ovvie ragioni economiche non è possibile proporre la misurazione dei livelli di 25(OH)D in tutta la popolazione. È quindi auspicabile lo sviluppo di algoritmi per la stima del rischio di carenza di vitamina D, al fine di selezionare i soggetti in cui sia utile l'esecuzione di tale dosaggio. Del tutto recentemente, utilizzando i database di 3 studi condotti su ampie coorti della popolazione generale italiana, è in corso di sviluppo, sotto l'egida della SIOMMMS, un algoritmo che la società intende poi sottoporre ad una validazione prospettica.
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RIASSUNTO
La Società Italiana dell'Osteoporosi, del Metabolismo Minerale e delle Malattie dello Scheletro (SIOMMMS) ha deciso di elaborare linee guida relative alla definizione dell'ipovitaminosi D e alle strategie di prevenzione e trattamento, riassunte nei seguenti punti:
• Il fabbisogno di vitamina D varia da 1.500 UI/die (adulti sani) a 2.300 UI/die (anziani, con basso apporto di calcio con la dieta). L'alimentazione in Italia fornisce in media circa 300 UI/die, per cui quando l'esposizione solare è virtualmente assente debbono essere garantiti supplementi per 1.200-2.000 UI/die.
• Il dosaggio della 25-idrossi-vitamina D [25(OH)D] sierica rappresenta il metodo più accurato per stimare lo stato di replezione vitaminica D, sebbene le tecniche di dosaggio non siano tuttora adeguatamente standardizzate.
• Sono state identificate soglie per una condizione di "carenza" [25(OH)D <20 ng/ml] e di "insufficienza" [25(OH)D tra 20 e 30 ng/ml] dello stato vitaminico D.
• L'insufficienza di vitamina D interessa circa il 50% dei giovani nei mesi invernali. La condizione carenziale aumenta con l'avanzare dell'età sino ad interessare la quasi totalità della popolazione anziana italiana che non assume supplementi di vitamina D.
• In presenza di deficit severo vanno somministrate dosi cumulative di vitamina D variabili tra 300.000 ed 1.000.000 di UI, nell'arco di 1-4 settimane.
• Una volta corretto il deficit vitaminico, la dose giornaliera di prevenzione - mantenimento varia in funzione dell'età e dell'esposizione solare, con un range compreso tra 800 e 2.000 UI/die o equivalenti settimanali. Un controllo dei livelli di 25(OH)D è raccomandato ogni due anni circa per trattamenti con dosi quotidiane superiori a 1.000 UI.
• La dose massima giornaliera oltre cui si ritiene elevato il rischio di intossicazione è stata identificata in 4.000 UI.
• I supplementi di vitamina D devono essere usati con cautela e monitorando periodicamente i livelli di 25(OH) D nei pazienti con malattie granulomatose o iperparatiroidismo primitivo.
• In corso di gravidanza i supplementi di vitamina D possono essere somministrati come nelle donne non gravide, evitando comunque l'uso dei boli (dosi >25.000 UI).
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